“L’erba è la compagna dei medici e la lode dei cuochi” – Carlomagno
Quella dell’uomo con le erbe aromatiche o odorose, è una lunghissima storia d’amore che inizia diversi millenni prima della nascita di Cristo. Vi sembra esagerato?
La prossima volta che andate in Francia visitate grotte di Lascaux, e troverete dei dipinti realizzati a basi di erbe coloranti e datati tra 13.000 e 25.000 anni a. C. Questo straordinario legame è ancora più evidente nelle antiche civiltà mediterranee.
Antichi Greci e Romani usavano incoronare i propri eroi, poeti e capi di Stato con aneto, poiché credevano aumentasse la forza fisica, e con alloro, pianta consacrata da diverse civiltà antiche al dio Sole e come tale simbolo di vittoria (ancora oggi noi ci “laureiamo”, e spesso festeggiamo la fine delle nostre fatiche universitarie con corone d’alloro in testa).
Nel V secolo a. C., Ippocrate, il notissimo medico greco vissuto nell’isola di Kos, ci fornisce un minuzioso catalogo degli alimenti utilizzati in Grecia nel quale elenca circa 400 erbe aromatiche utilizzate comunemente non solo in cucina ma soprattutto con finalità curative: tra queste, la mentuccia, la maggiorana, il timo. Tutte queste piante venivano coltivate nei giardini di ogni casa oppure in aperta campagna, ma molte provenivano anche dalla raccolta selvatica.
Nel mondo classico il confine tra erbe selvatiche ed erbe domestiche è esile: il processo di domesticazione delle piante in età romana è tutt’altro che concluso, e forse proprio per questo l’esigenza culturale di separarsi dal “selvatico” era avvertita con molta intensità.
Così diventa decisiva la creazione di piccoli orti privati e pubblici: è famosa ancora oggi l’importanza per i Romani degli horti, realizzati non solo all’interno delle domus ma perfino accanto ai mausolei e ai cimiteri (ad esempio lungo l’Appia Antica). Negli horti romani si coltivava di tutto, dal commestibile al curativo, dall’estetico all’aromatico: cosi nel 65 d. C., il medico Dioscoride, nel suo più importante trattato “De Materia Medica”, descrisse una summa sull’uso in medicina di molte erbe, ancora oggi considerata uno delle opere più importanti e influenti.
Per i Romani la presenza delle erbe era fondamentale anche in cucina, e costituiscono elemento aromatico principale del garum, salsa rinomatissima anche ai palati più raffinati; se ne conservano diverse ricette, ma sostanzialmente si otteneva lasciando macerare in salamoia per uno o più mesi interiora e polpa di pesci di diversa qualità con timo, finocchietto selvatico, menta e rosmarino, e raccogliendone poi il liquido che colava. Il forte valore aromatico delle erbe era importante soprattutto in quel periodo per ricreare il piatto perfetto, con un gusto molto distante dal nostro. Infatti la cucina romana antica, e poi quella medievale e rinascimentale, era ritenuta un’arte “combinatoria” e riteneva buono ed equilibrato il gusto che contenesse in maniera “armoniosa” tutte le qualità: il piccante e il dolce, il salato e l’aspro.
Di tutte queste combinazioni, l’unica passata ai giorni nostri senza modifiche è quella dell’agrodolce. Durante il Medioevo la cucina italiana si differenzia poi dal contesto europeo proprio per la ricchezza di impiego dei prodotti dell’orto: le erbe “odorose” si affiancheranno regolarmente alle più costose spezie. Le erbe citate più regolarmente nei ricettari medievali e rinascimentali giunti fino a noi sono la maggiorana e la menta, seguiti da rosmarino, prezzemolo, salvia e aneto; meno presenti rispetto alle civiltà classiche il basilico, l’alloro, la mentuccia, l’anice e il timo. Gli italiani erano famosi in tutta Europa in quel periodo per il grande consumo di insalate condite con abbondanza di erbe aromatiche, e si differenziavano così dai più “carnivori” francesi e inglesi: “il cibo dell’insalate è proprio, dicono gl’oltramontani, de’Italiani ghiotti, quali hanno tolta la vivanda agl’animali bruti che si magnano l’herbe crude”.
Ragioni di povertà, ma anche di clima particolarmente mite, hanno fatto di necessità virtù: si conservano numerosi trattati sulla legge insalatesca, rivolta soprattutto ai cuochi nordeuropei, su come pulire, lavare, asciugare, salare, oliare, mescolare, aggiungere aceto e di nuovo mescolare…
Dovremmo recuperare questa perduta e antica identità gastronomica, forse oggi sconosciuta alla maggior parte di noi, ma che ci ha contraddistinto per tanti secoli in modo così originale e…salutare!
A cura di Nadia Barone, archeologa
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