Nell’immaginario collettivo le scene di banchetto romano sono ritratti di vita quotidiana pieni di allegria, cibo a volontà e vino a fiumi. Questo è vero, ma solo in parte; è sicuramente prerogativa di quella fetta di popolazione agiata, che godeva di numerosi privilegi grazie al grande potere economico e politico che aveva acquisito nel tempo. Si tratta di uomini e donne d’affari, personaggi politici, rappresentanti degli dei sulla terra, ma più di tutti gli imperatori, con le rispettive famiglie, strette o allargate. Come oggi, nell’antica Roma in genere si usava consumare tre pasti al giorno. Si partiva con lo ientaculum (la nostra colazione), tra la terza e la quarta ora (corrispondente più o meno alle 8:30), per poi continuare il prantium verso l’ora settima (intorno alle ore 12:00) e terminare con la cena intorno alla tredicesima ora (ovvero le 19:00-20:00).
Ed è proprio la cena il momento d’incontro per eccellenza, in cui il piacere dello stare insieme, unitamente all’ostentazione del proprio status sociale, anima le stanze delle numerose ville urbane e suburbane. L’élite, l’unica a potersi permettere la cucina in casa, cenava stesa sui triclini attorno a una tavola riccamente imbandita, mentre la stragrande maggioranza dei romani, seduti su sgabelli e panche di legno affollava le numerosissime bettole e taverne (popinae) della città, dove con pochi sesterzi si poteva avere del pane, una zuppa calda e un bicchiere di vino. Si mangiava tutto con le mani, lavate tra una portata e l’altra, o con i cucchiai (nel caso di zuppe). La forchetta era infatti ignota ai romani.
Ma cosa si mangiava in questi banchetti aristocratici?
La carne si mangiava pochissimo; contrariamente a quanto si possa pensare, in quest’epoca il pane era quasi sconosciuto e in sostituzione i Romani usavano la polenta. Si chiamava Puls ed era composta da un impasto di farina di farro cotta in acqua e sale (il mais farà la sua comparsa solo dopo la scoperta dell’America) ed era insaporita con formaggi, uova, funghi o frutta. Progressivamente, man mano che l’Urbe entrava in contatto con le popolazioni conquistate, la varietà dei cibi aumentava. Selvaggina, pesce, oltre che i prodotti derivati dalla vite e l’olivo fecero la loro definitiva comparsa sulle tavole dei benestanti, anche se i più poveri continuavano a condurre una dieta prevalentemente vegetariana. Inoltre spezie, dolci e frutti provenienti soprattutto dai regni ellenistici d’Asia e dall’Egitto scatenarono la fantasia dei cuochi romani, che da quel momento elaborarono una gastronomia ricchissima. I romani amavano oltremisura lo zenzero, il pepe, lo zafferano; più che condire, queste spezie ricoprivano letteralmente le pietanze, fino a fargli perdere l’originario sapore.
Altro elemento indispensabile nella cucina romana era il “garum”, una salsa fatta di interiora di acciughe o sgombri sotto sale, essiccate per molti giorni e all’occorrenza speziate. Ne esistevano vari tipi e i romani (di qualunque ceto sociale) ne erano talmente ghiotti da consumarne grandissime quantità, come fanno oggi gli americani con il ketchup o la mostarda.
Ma cosa bevevano?
Oltre all’acqua, i Romani amavano innaffiare i propri pasti con il vino, mentre la birra (fatta con l’orzo e non col luppolo) era considerata una bevanda per poveri o barbari. Tanti erano i vini importati dalla Grecia, sia per il sapore, che per le qualità di conservazione. Esistevano numerose qualità di vini: da quelli più economici alla portata di tutti, serviti dalle numerose tabernae presenti nell’Urbe, a quelli d’annata dai costi proibitivi. Date le tecniche “artigianali” di produzione, il vino dei romani aveva un gusto molto diverso da quello odierno. Per conservarlo senza farlo guastare, ad esempio, veniva spesso mischiato con la resina, che gli dava un aroma particolare. La sua gradazione alcolica era inoltre molto alta, tanto che per risultare bevibile doveva essere diluito con l’acqua. D’inverno, al vino speziato poteva essere aggiunta dell’acqua calda, che lo rendeva una sorta di vin brulè.
A cura di Clelia Alfonsi, archeologa
Riferimenti bibliografici: Nico Valerio, La tavola degli Antichi, Milano 1989; Andrea Giardina, L’uomo romano, Bari 1993; Jérôme Carcopino, La vita quotidiana a Roma, Bari 1971; Carlo Casi, La cucina nel mondo antico. Archeologia e storia dell’alimentazione dalla Preistoria al Medioevo, Grosseto 2009; Rosaria Ciardiello, Cibus. I sapori dell’antica Roma, Napoli 2010.
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