E’ da poco passato Halloween: prima che nelle vetrine le zucche lascino presto il posto alle palle di natale, da brava siciliana ho una denuncia da fare nei confronti di questa festa d’importazione! La cucina italiana è molto più magica di Halloween, soprattutto in Sicilia, dove abbiamo imparato ad apprezzare la “notte dei morti” fin da bambini, al di là delle esigenze di mercato dei nostri giorni…
Allora ecco le magie culinarie italiane che ho recuperato in giro per lo stivale per la festa di commemorazione dei defunti, molto più sentita di quello che immaginiamo!
Cominciamo proprio dall’estremo sud, dalla Sicilia, dove la notte tra l’1 e il 2 novembre, milioni di bambini per secoli hanno atteso che il cesto che avevano lasciato vuoto la sera prima fosse riempito dai propri cari “morticini” di famiglia che per una notte tornavano sulla terra a riempirli di doni: e il cesto si riempiva immancabilmente di dolci “paurosi” che farebbero invidia a qualsiasi “dolcetto o scherzetto”: “ossa di morti” biscotti a base di zucchero e albume d’uovo che delle ossa avevano anche la consistenza, oltre che la forma e il colore (!), dita e mani di apostolo, dei dolci arrotolati e super cremosi a forma di dito, “pupi di zuccaro”, a forma di ballerine per le bambine e di cavaliere per i bambini…con la testa da staccare via con un solo morso!
Poi ho scoperto che tutte le regioni italiane hanno un’attenzione particolare per i propri “morticini”! E così risalendo verso nord ho trovato colva e fanfullicchie in Puglia: il primo è un dolce a base di grano cotto, uva, fichi secchi, noci e mandorle, le seconde invece, sono caramelle di zucchero attorcigliate, che hanno una storia più commovente, perché si offrivano agli orfanelli durante tutta la settimana di commemorazione dei defunti, proprio a loro che avevano la disgrazia di non poter commemorare defunti. E ancora verso nord ci fermiamo a Napoli, dove non può mancare il “torrone morticello”, un torrone morbido e godurioso a base di cioccolato e nocciole e non di miele e albume, come un grosso gianduiotto. Poi più su, sempre a prova di “trick or treat” vengono serviti a Perugia gli “stinchetti” dei morti, dei biscotti a forma di tibia ripieni di mandorle, cacao e cannella, che nell’800 facevano rabbrividire un turista francese, Paul Valery, che così scrive nel suo libro “L’Italie confortable”: «Cet horrible bonbon, qui a sa moelle comme les ossements humains, rappelle, par sa forme et son nom, l’ancienne réputation de férocité des habitants, heureusement fort adoucie!». Paul Valéry non poteva capire questa concezione tutta mediterranea che lega le tradizioni culinarie all’affetto e al ricordo dei propri cari scomparsi..
Ovunque in Italia abbiamo pan dei morti, ossa, fave e stinchetti di morti… è una tradizione che sta scomparendo e con lei un pezzetto della nostra identità, non solo culinaria: così scrive un grande testimone del nostro tempo, Andrea Camilleri, in un articolo intitolato “Il giorno che i morti persero la strada di casa”:
“Poi, nel 1943, con i soldati americani arrivò macari l’albero di Natale e lentamente, anno appresso anno, i morti persero la strada che li portava nelle case dove li aspettavano, felici e svegli fino allo spàsimo, i figli o i figli dei figli. Peccato. Avevamo perduto la possibilità di toccare con mano,materialmente, quel filo che lega la nostra storia personale a quella di chi ci aveva preceduto e “stampato”, come in questi ultimi anni ci hanno spiegato gli scienziati. Mentre oggi quel filo lo si può indovinare solo attraverso un microscopio fantascientifico. E così diventiamo più poveri: Montaigne ha scritto che la meditazione sulla morte è meditazione sulla libertà, perché chi ha appreso a morire ha disimparato a servire.”
“Il giorno che i morti persero la strada di casa” da I racconti quotidiani di Andrea Camilleri (Qua e là per l’Italia- Alma edizione, Firenze 2008).
A cura dell’archeologa Nadia Barone
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